Dai Primi versi alle Poesie saturnine, dalle Feste galanti alle Romanze senza parole, si dispiega agli occhi del lettore la produzione di uno dei più complessi e inquietanti tra i poeti simbolisti francesi. Del “Pauvre Lelian”, come Verlaine stesso si chiamava anagrammando il proprio nome, ecco allora componimenti malinconici e inquieti, canzonette musicali e fantasiose, versi sontuosi e lirici, poesie torbide e viscerali. Un universo contraddittorio di un poeta tormentato che per tutta la vita cercò di colmare la distanza tra un sé e un altro se stesso, un essere dolorosamente alienato e trasportato dalla propria poesia in un paesaggio di cui non arriva a decifrare il senso e nel quale gli è però negato di perdersi del tutto. Nell’affascinante labirinto dell’homo duplex per eccellenza, la scelta e l’apparato critico di Luciana Frezza restituiscono un più giusto equilibrio a tutte le varie fasi e dimensioni di un artista da scoprire nella sua poliedrica complessità.
INFORMAZIONI
- Pagine 432
- ISBN: 978-8817165730

Paul Verlaine
Paul Verlaine nacque a Metz nel 1844, figlio unico di una famiglia della piccola borghesia, con la quale nel 1851 si trasferì a Parigi. Lesse giovanissimo I fiori del male di Baudelaire, che influenzerà la sua prima raccolta poetica, Poemi saturnini (1866), iniziò presto a comporre poesie e frequentò la seconda generazione dei poeti parnassiani, con i quali condusse vita da bohémien. Nel 1869 pubblicò Feste galanti. Due anni prima era morta l’amata cugina Elisa. Nel 1870 sposò Mathilde Mauté de Fleurville e l’anno dopo conobbe il giovane Arthur Rimbaud. Per la moglie scrisse La Buona Canzone, ma il matrimonio entrò in crisi per la relazione nata tra Verlaine e Rimbaud. I due uomini presero a viaggiare insieme e si recarono a Londra e Bruxelles, ma quando Rimbaud si stancò e, nel 1873, cercò di porre termine al rapporto, Verlaine sparò all’amico ferendolo. Fu imprigionato per diciotto mesi. Prima di questo periodo aveva composto Romanze senza parole, che poi uscirà nel 1874. Una volta rilasciato si dedicò all’insegnamento e compose molte delle poesie comprese in Saggezza (1881), che testimoniano della conversione al cattolicesimo. Dopo, smesso di insegnare, tornò a Parigi dove era anche considerato uno dei maestri del nascente simbolismo. Riprese a bere e a condurre una vita disordinata. Visse in miseria, affetto da diverse malattie e con lunghi ricoveri ospedalieri, e nonostante la fama morì in povertà, nel 1896, a Parigi.