Il cyborg non riconoscerebbe il giardino dell’Eden: non è nato dal fango e non può pensare di ritornare polvere.
Il pensiero occidentale è da sempre caratterizzato da un pensiero binario asimmetrico, di cui le opposizioni uomo/donna e mente/corpo rappresentano solo due tra gli assi concettuali più importanti. Si tratta di opposizioni tra termini mai tra loro equivalenti, dualismi da sempre funzionali alle pratiche del dominio: sulle donne, sulla gente di colore, sulla natura, sui lavoratori, sugli animali. La nascita del cyborg, da metafora fantascientifica a condizione umana, però cambia questo stato di cose. Perché il cyborg è al contempo uomo e macchina, individuo non sessuato situato oltre le categorie di genere. La pretesa naturalità dell’uomo è quindi solo una costruzione culturale, poiché oggi tutti noi siamo in qualche modo dei cyborg. L’uso di protesi, lenti a contatto, by-pass è solo un esempio di come la scienza sia compenetrata nel quotidiano e abbia trasformato il corpo. Se il corpo può venire trasformato e gestito, esso non è più sede di una presunta naturalità contrapposta all’artificialità e non possiamo più pensare all’uomo in termini esclusivamente biologici. Il cyborg non è quindi né macchina né uomo, né maschio né femmina, situato oltre i confini delle categorie che normalmente utilizziamo per interpretare il mondo.
Finalmente riproposto il seminale saggio che per primo ha scavato con visionarietà teorica il territorio della postmodernità, del cyborg e del gender.
INFORMAZIONI
- Pagine 208
- ISBN: 978-8807890819

Donna Haraway
Donna Haraway (Denver, 1944) è una filosofa e docente statunitense, caposcuola del teoria del cyborg, una branca del pensiero femminista che studia il rapporto tra scienza e identità di genere. Fu allieva del filosofo francese Georges Canguilhelm, le cui lezioni seguì a Parigi da giovane, ed è vicina al pensiero di Michel Foucault e di Bruno Latour. Feltrinelli ha pubblicato Manifesto cyborg (1995; 2018).
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